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Costruiamo il senso critico

Come distinguere le informazioni vere da quelle non corrette?

Se trovo una notizia sul web posso:

  • condividerla così com'è;
  • cercare altri articoli sullo stesso tema;
  • cercare di capire da dove ha origine il contenuto

Di chi mi fido?

Ogni fonte può essere in possesso di un pezzo di verità, ma occorre saper distinguere il contenuto corretto. Per svolgere un lavoro dettagliato, bisognerebbe consultarle tutte:

  • associazioni;
  • agenzie nazionali o internazionali;
  • siti dei Ministeri;
  • riviste scientifiche nazionali e internazionali;
  • community on line, Social;
  • blogger, e influencer,
  • comunicati stampa;
  • siti di informazione

Quando una ricerca è di qualità?

Immaginiamo un ricercatore che scopre che la farina di grano arso (dal sapore leggermente affumicato) aiuta a far scomparire l’acne giovanile. Pubblica la sua ricerca su una rivista di settore e la notizia inizia a circolare promuovendo l’uso di questo grano. Ci possiamo fidare?

In generale una sola ricerca, che espone una certa tesi, può non essere sufficiente. Il metodo per verificare la validità di una ricerca si chiama “processo scientifico peer review”. In pratica, il ricercatore condivide la sua ricerca con altri colleghi, attraverso le riviste scientifiche. Se l’articolo non convince gli altri ricercatori competenti in materia, sarà necessario rimettere mano allo studio e migliorarlo ulteriormente, approfondendo gli aspetti più critici.

Quindi, all’affermazione “Questa ricerca è affidabile”, ci si deve chiedere: “Ma è stata condivisa dalla comunità scientifica?”.

Articoli: cosa controllare?

Se leggessimo articolo che accusa di pericolosità un ingrediente alimentare e fossimo dubbiosi sul contenuto, come dovremmo procedere?

  • Controlliamo la testata che lo ha pubblicato. È seria? è un quotidiano o un sito web, che ha alle spalle un editore conosciuto, magari di stampo scientifico, Oppure si tratta di un blog che alle spalle non ha nessuno?
  • Gli articoli della testata sono firmati? Se non lo sono, potrebbero essere dei copia-incolla da altri siti
  • Chi è il giornalista? ha scritto altri argomenti sul tema, oppure spazia tra alimentazione, sport, fitness, moda e musica, dunque non ha una competenza specifica?
  • L’articolo contiene percentuali, dati numerici che avvalorino la tesi espressa? Contiene una o più fonti (ossia studi, ricerche, nominativi di studiosi o ricercatori?). Se la risposta è no, probabilmente non è un buon articolo
  • L’articolo cita una ricerca? Viene indicato quando è stata realizzata e quanto fosse grande il campione numerico?
  • È possibile risalire alla ricerca originale, magari in lingua inglese, per verificare che in fase di traduzione non siano stati commessi errori o che certi contenuti siano stati enfatizzati o minimizzati?
  • Ci sono altri articoli, in rete, che trattano lo stesso argomento, e sono magari più approfonditi? Leggeteli comunque tutti, eliminando sempre quelli della fonte meno affidabile.

Lunga vita ai debunker

Quando i temi si fanno molto complessi, è impossibile, da soli, verificare la correttezza di una notizia. Per i casi davvero che attirano l’interesse degli utenti – specie negli ambiti della salute e dell’alimentazione – entrano in gioco figure “speciali”: i debunker, ovvero coloro che letteralmente “smascherano” le storie false usando un metodo rigoroso di analisi delle fonti. In Italia, i più seguiti sono www.butac.it e attivissimo.blogspot.it, www.bufale.net, medbunker.blogspot.it.
Debunker 

Chi paga le ricerche scientifiche?

Classico discorso che si sente al bar: “Ecco, ho letto che i fagioli arricchiti con l’additivo ZZ fanno crescere i capelli”. “Certo, sarà uno studio è pagato dall’azienda che produce gli additivi! Dunque è tutto falso!”.

Bisogna guardare alla scientificità del contenuto: o una ricerca è affidabile e risponde ai criteri richiesti da tutto il mondo scientifico… oppure non lo è. Questo indipendentemente da chi investe, ossia da chi decide fornire un supporto economico per indagare quel tema.
Validità scientifica

Le regole non scritte della comunicazione

Primo assunto: le notizie positive sono considerate noiose, quindi trovano difficilmente spazio sui media.

Secondo assunto: una notizia negativa che ha del sensazionale colpirà l’attenzione del lettore-spettatore-utente

Terzo assunto: basta mettere in discussione un argomento vicino agli interessi del lettore per farlo dubitare anche sulle cose più semplici.

Quarto assunto: se le persone cercano complotti ovunque non si fideranno delle spiegazioni più semplici perché non abbastanza “sensazionali”.

Conclusione: Per essere certi che una notizia sia corretta, occorre andare all’origine, osservare la serietà dell’autore, della ricerca che cita e, tra le righe, verificare che il giornalista non “spinga” per confermare o negare una certa tesi.
Le regole della comunicazione

Nella comunicazione mediata dal web

  • l’utente non è più semplice lettore passivo, ma autore e creatore egli stesso delle notizie (infatti si parla di user generated content).
  • Vale il real time, che non dà il tempo di verificare la notizia.
  • I contenuti sono condivisi ma ci si preoccupa poco di verificare come e in quale contesto questi siano stati creati.
  • le persone si creano una propria “bolla” (la cosiddetta echo-chamber) nella quale arrivano solo le informazioni che hanno selezionato all’origine (per esempio, se sono vegano, imposterò il mio Social Network in modo che mi tenga aggiornato su queste tematiche, presentate in maniera positiva. Così facendo, viene però a mancare la possibilità di confronto con chi non ha la mia stessa visione della vita).
  • gli utenti sono subissati da informazioni e non riescono a discriminare tra: fatti veri, fatti più o meno veri, fatti inventati, fatti rilevanti, fatti creati ad arte.

Additivi tossici e cancerogeni: la bufala di Aviano

In rete gira, da anni, un documento, attribuito al Centro Tumori di Aviano, che elenca “additivi (coloranti) inoffensivi, sospetti e tossici”. Il documento, tra l’altro una fotocopia scannerizzata storta e ingrigita (già questo dovrebbe far dubitare) è ricco di imprecisioni ed errori grossolani. Come prima cosa ad Aviano non esiste un “Centro Tumori”, mentre è attivo in realtà CRO Aviano, Centro di Riferimento Oncologico-Istituto Nazionale Tumori Centreuropeo. Il documento poi definisce come coloranti additivi che non lo sono ed elenca addirittura additivi che non esistono. In più, indica che l’additivo più pericoloso tra tutti sarebbe il famigerato E330, ossia l’acido citrico, una sostanza presente naturalmente negli agrumi e usato normalmente dall’industria alimentare per le sue proprietà antiossidanti e di utilizzo assolutamente sicuro.

Nonostante lo stesso CRO abbia ufficialmente smentito di aver mai prodotto questo documento, periodicamente sul web o nelle chat per smartphone si ripresenta questo fantasioso elenco.

Qui la smentita ufficiale

I cadaveri non si decompongono più: la “macabra” storia dei conservanti

Un’altra curiosa storia, quasi una leggenda metropolitana, che circola sul web è volta a demonizzare i conservanti: si dice (senza citare fonti precise, ma sempre con «uno studio dice che…») quando le bare vengono periodicamente riesumate dalle tombe per essere trasferite in altre aree (pratica normale nei cimiteri, ogni 20/30 anni) i corpi al loro interno sono ancora intatti. Questo sarebbe dovuto all’eccessivo uso di conservanti negli alimenti, che si accumulerebbero nel nostro corpo impedendo la normale azione dei microrganismi responsabili della decomposizione!

Ovviamente, si tratta di una storia, oltretutto macabra, priva sia di documentazioni a supporto sia di validità scientifica.

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